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Poesia social con IBI

Nella nostra società non c’è più posto per la poesia, potrebbero dire alcuni. Altri, potrebbero non essere d’accordo.

Ne abbiamo parlato con Martina Bernocchi, in arte Ibi, giovane poetessa che si muove tra le performance di poetry slam dal vivo e il mondo dei social, dove pubblica video in cui recita le sue poesie (o “monologhi brutti”, come ironicamente li definisce) e che ci ha raccontato del suo percorso e del suo legame con la scrittura.

Come definiresti la poesia? Chi è il poeta?

«La poesia è spesso vista come un mezzo d’espressione particolarmente inaccessibile, come qualcosa di molto distante e che non appartenga ai giovani. E’ difficile capire cos’è la poesia, perché  il confine è sempre personale. Per me, la poesia mi dà la possibilità di scrivere quello che sento. Alla fine l’arte nasce da un’esigenza, ma anche dalla volontà di ritagliarsi del tempo per confrontarsi con sé stessi. La scrittura non è sempre ispirazione; devi decidere tu di prenderti il tuo tempo per scrivere e nella società frenetica in cui viviamo è molto difficile.»

Che ne pensi del mercato editoriale attuale, che sembra spingere in particolare verso la pubblicazione di romanzi?

«In realtà, il mercato editoriale sta spingendo tanto verso la poesia. Penso a “Robinson”, settimanale culturale de La Repubblica, che di recente ha pubblicato il volume “Amarti come ti amo”: una raccolta di poesie d’amore classiche scelte con la collaborazione di alcuni booktoker. E’ vero che il romanzo è ancora dominante, ma io sono molto fiduciosa.»

Pensando sia alle competizioni di Poetry Slam ed anche ai tuoi video, si ha come la sensazione che la semplice paginascritta non basti quasi più. C’è la necessità che la poesia oggi sia vissuta come un’esperienza totale, che coinvolga anche i nostri sensi e non solo la nostra mente?

«Avendo studiato teatro sin da piccola, la poetry slam è qualcosa che risuona molto forte dentro di me. Durante la performance, la poesia diventa qualcosa di vivo. La poetryslam è poesia all’ennesima potenza. Quando partecipo alle serate di slam poetry sento qualcosa di rivoluzionario: come un grido che dice “la poesia è nostra, possiamo farla noi, non è qualcosa di sepolto o che appartiene solo ai grandi del passato.” Quando sei sul palco succede qualcosa di magico: esisti solo tu e il tuo testo.»


I social hanno influenzato la tua scrittura?

«Avere un numero di persone che ti seguono per me è sempre stata una responsabilità, anche quando erano meno di adesso. Sapevo, però, che c’erano persone interessate a quello che avevo da dire. Ho imparato, lavorando con i social, a non aspettarmi sempre che il contenuto vada virale:questa è una mentalità un po’ tossica. La dinamica dell’algoritmo ti impone di pubblicare costantemente, ma per me i social sono solo una parte della mia vita e del mio futuro.»

L’indimenticabile Professor Keating de L’Attimo Fuggente diceva che “scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana.”

Forse, in questo momento storico, abbiamo bisogno di ricordarcelo più che mai.


Articolo di Arianna
Gnasso