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Antonia Pozzi, la poetessa che amava la montagna

Antonia Pozzi nasce a Milano nel 1912, studia al liceo classico Alessandro Manzoni, poi nel 1930 si iscrive all’università dove consegue la laurea in Lettere. Fin da bambina dimostra una spiccata sensibilità, un amore profondo per la cultura e per il sapere. Scrive un diario, delle lettere e nelle sue poesie manifesta chiaramente la passione per le lunghe escursioni in montagna. Adora la fotografia e si arrampica tra i crepacci per cercare la luce giusta, tenta di immortalare la bellezza di quei luoghi con la sua macchina fotografica. Ci sono pervenuti molti scatti che la ritraggono in bicicletta, oppure insieme ai suoi animali.

Antonia sente ogni emozione amplificata, rifiuta il grigiore degli ambienti borghesi di Milano e si rifugia in montagna, a Pasturo. Scrive che «la poesia […] ha questo compito sublime: di prendere tutto il dolore che ci spumeggia e ci romba nell’anima e di placarlo, di trasfigurarlo nella suprema calma dell’arte, così come sfociano i fiumi nella vastità celeste del mare. La poesia è una catarsi del dolore, come l’immensità della morte è una catarsi della vita», lettera a Tullio Gadenz, Milano, 11 gennaio 1933. Il suo dolore si accresce quando la possibilità di un futuro con Antonio Maria Cervi, docente di latino e greco di cui era profondamente innamorata, crolla inesorabilmente. Antonia trova pace solo tra le vette dei monti, dove scrive le sue poesie d’amore nel silenzio:

Ti do me stessa,

le mie notti insonni,

i lunghi sorsi

di cielo e stelle – bevuti

sulle montagne,

la brezza dei mari percorsi

verso albe remote.

Ti do me stessa,

il sole vergine dei miei mattini

su favolose rive

tra superstiti colonne

e ulivi e spighe.

Ti do me stessa,

i meriggi

sul ciglio delle cascate,

i tramonti

ai piedi delle statue, sulle colline,

fra tronchi di cipressi animati

di nidi –

E tu accogli la mia meraviglia

di creatura,

il mio tremito di stelo

vivo nel cerchio

degli orizzonti,

piegato al vento

limpido – della bellezza:

e tu lascia ch’io guardi questi occhi

che Dio ti ha dati,

così densi di cielo –

profondi come secoli di luce

inabissati al di là

delle vette –

Bellezza, da Poesia che mi guardi, a cura di G. Bernabò e O. Dino (Luca Sossella Editore)

Ed è tra quelle montagne che amava tanto, presso l’abbazia di Chiaravalle, che Antonia chiude gli occhi sull’erba per sempre. A me piace immaginarla come una ragazza innamorata ancora in cammino, troppo bella  e buona per appartenere a questa terra.

Articolo a cura di Isabella Esposito