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”Angeli Caduti” di Anselm Kiefer

Ci sono mostre e mostre. Quelle che ti passano davanti agli occhi, vengono imprigionate nel riquadro di una storia Instagram prima di essere dimenticate, ingoiate in fretta, senza neanche essere masticate ed elaborate. Il turismo assomiglia ormai a un uomo annoiato che sgranocchiando cibo entra in un posto che gli sembra interessante, punta un telefonino verso l’oggetto dove vede più persone ed esce fuori. Ci sono mostre però che ti rimangono dentro, che una volta visitate ci rendono chiaro il perché vale la pena uscire ed investire tempo e soldi, e non limitarsi ad aprire Google e digitare il nome di un quadro per esaurire la nostra curiosità. “Angeli caduti”, a Firenze fino al 21 luglio 2024, è una di queste.

La mostra di Anselm Kiefer è eccezionale già dall’ingresso. L’artista ha infatti creato un’opera d’arte appositamente per questa mostra che troneggia nel cortile di Palazzo Strozzi: “Engellsturzz”, (la caduta dell’angelo). Su uno sfondo oro, astratto, San Michele scaccia gli angeli ribelli dal Paradiso, i cui volti cadono verso il basso. L’utilizzo simultaneo di materiali molto diversi, trattati e uniti in modo creativo, rende l’opera suggestiva e in continuo dialogo con gli spazi rinascimentali del palazzo. Gli angeli sono fatti con resti di camicie, jeans, vestiti e materiali riciclati. È stato Dio a creare il male e quindi Lucifero? È un’annosa questione teologica ma che a Kiefer non interessa, l’artista non si muove su un piano metafisico, non intende una realtà altra da quella che vediamo ma la sua opera si colloca piuttosto in una riflessione continua sul rapporto fra bene e male, spiritualità e corpo, sacro e profano. Tutta la mostra è permeata da questi temi, da riflessioni sulla memoria e sul tempo che passa. Kiefer è un autore profondamente filosofico, le sue opere dialogano e sono ispirate continuamente ad altri testi. È un artista vero perché pur non operando cambiamenti drastici nella storia dell’arte, non rompe la scatola prospettica, non rivoluziona lo sguardo, si riappropria del lavoro sulla materia, non delega, non è puramente concettuale o commerciale come gran parte dei suoi contemporanei. La materia stessa è vibrante, portatrice di un’energia misteriosa, basta tirarla fuori, platonicamente. Picasso diceva: “la creazione è l’insieme di diverse distruzioni” e l’artista tedesco prosegue su questa linea, nulla si rigenera se prima non vi è una cesoia, un taglio che ricostruisce. 

Nella prima opera una volta entrati nel palazzo, un’ala di aeroplano esce direttamente dal quadro, e irrompe nella sala come un ponte gettato nel vuoto. La sala successiva è una delle mie preferite: ispirandosi al romanzo di Artaud su Eliogabalo, giovane imperatore che voleva introdurre il culto del dio Sole nella capitale, Kiefer ci introduce in questa Roma viziosa e pagana innalzando enormi girasoli, simbolo di vita e da cui cadono semi, impastati essi stessi nella pittura.

Proseguendo possiamo ammirare “La scuola di Atene”; Kiefer rielabora il celebre dipinto raffaellesco nella stanza della segnatura, di fronte, in un albero genealogico immerso nell’acqua, emergono i volti dei presocratici e dall’altra parte della stanza l’opera “Ave Maria” colloca in una finta prospettiva un immaginario pantheon di filosofi amati dall’artista. Il cuore della mostra, e senza dubbio la parte più scenografica, è costituita da ”Dipinti  irradiati”, un’enorme sala riempita con oltre sessanta quadri, che vengono goduti maggiormente dalla prospettiva di uno specchio posto in basso. 

E ancora: opere ispirate a Joyce, al mistero della creatività, con una forma in piombo sospesa come una spada di Damocle su un terreno roccioso e disseminato di denti, e una alla storia di Zeus e Cynara: per richiamare il mito Kiefer ha dorato e appeso dei carciofi veri rendendoli parte integrante dell’opera.

L’ultima sala è la più controversa, e richiama alla prima fase dell’artista: il giovane Kiefer si fa immortalare in tutta Europa con l’uniforme della Wermacht del padre mimando il saluto nazista. Questo gli fa piovere addosso critiche da ogni lato, che lo tacciano di essere simpatizzante del nazismo. In realtà Kiefer con quel gesto vuole solo entrare nella ferita per eccellenza della sua nazione, riappropriarsi della sua storia riflettendo sull’orrore del nazismo che ha spaccato e determinato l’identità tedesca per tutti i successivi ottant’anni. Il passato può solo essere capito e mai rimosso.

Ad accompagnare questa sala e accomiatarci dalla visita i versi di Quasimodo che ci riportano alla caducità e alla transitorietà della vita:Ognuno sta solo sul cuor della terra / trafitto da un raggio di sole / ed è subito sera”.  La poesia, la pittura, e la filosofia, sembra dirci Kiefer, sono strumenti per indagare il cuore dell’uomo, l’unico essere capace di creare la bellezza assoluta e il male più terribile

Articolo di Simone Giunta