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Coralie Fargeat torna con “The Substance”

The Substance di Coralie Fargeat non è un film per tutti, è un film che scuote, disturbando profondamente lo spettatore, e al tempo stesso lo affascina con una potente combinazione di body horror e satira sociale. Protagonista assoluta è Demi Moore, che qui offre una delle sue migliori performance degli ultimi anni. Interpreta Elisabeth, un’ex celebrità televisiva alle prese con la realtà brutale di Hollywood: una donna che, ormai cinquantenne, viene licenziata dal suo programma di aerobica per far spazio a volti più giovani e freschi.

Un body horror che scuote e affascina

È questo il punto di partenza di un viaggio inquietante in cui il desiderio di rimanere rilevante la porta a sperimentare una sostanza segreta che promette giovinezza, ma con conseguenze spaventose.

Fargeat, già nota per Revenge, dimostra ancora una volta di saper manipolare i codici del cinema di genere per raccontare qualcosa di molto più profondo. Se Revenge era una feroce rilettura del rape&revenge, qui si parla di come l’industria dell’intrattenimento consumi e getti via le donne non appena perdono la loro “vendibilità” estetica.

La visione di Coralie Fargeat: bellezza, orrore e denuncia sociale

Elisabeth, infatti, usa la “sostanza” per generare una versione più giovane e perfetta di sé, Sue (interpretata da Margaret Qualley), ma le due devono alternarsi nel controllo del corpo, condividendo letteralmente la vita e il tempo. Questo espediente diventa una metafora visiva devastante dell’ossessione per la bellezza e della lotta contro il tempo.

La regia di Fargeat è raffinata, giocando con inquadrature claustrofobiche e colori saturi per creare un’atmosfera quasi onirica, un incubo anni Ottanta dove la superficie scintillante nasconde un profondo senso di disperazione. Le scene di trasformazione e di mutazione corporea sono esplicite e disturbanti, eppure mantengono una loro strana bellezza, sottolineata da una colonna sonora martellante che amplifica il senso di ansia crescente.

Il contrasto tra le due protagoniste: Demi Moore e Margaret Qualley

Se Moore porta sullo schermo la vulnerabilità e il dolore di una donna che non accetta il proprio corpo in declino, Qualley interpreta la giovinezza con un distacco inquietante. La sua Sue è perfetta, ma vuota, una proiezione ideale che esiste solo per essere guardata e desiderata. Il contrasto tra le due attrici funziona perfettamente, enfatizzando il conflitto tra chi è e chi vorrebbe essere Elisabeth, e come entrambe siano prigioniere di un ciclo di insoddisfazione e perdita di identità.

Un’analisi profonda dell’industria dell’intrattenimento

Il film è inoltre permeato da un senso di satira pungente: l’industria dell’intrattenimento, con i suoi “mostri” dietro le quinte, viene rappresentata in modo volutamente caricaturale. Il personaggio di Harvey, interpretato da un viscido Dennis Quaid, incarna perfettamente questo mondo tossico, un ambiente che sfrutta senza pietà il corpo femminile per guadagno. Ma non c’è solo rabbia nel film: Fargeat riesce a far coesistere il disgusto con un senso perverso di divertimento, offrendo allo spettatore un’esperienza al tempo stesso disturbante e ipnotica, a tratti veramente elettrizzante.

Autore: Giovanni Lembo

 

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