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Shame Culture, la società dell’apparenza

Dal 1 al 3 marzo è andato in scena al Teatro Belli lo spettacolo SHAME CULTURE, scritto e diretto da Andrea Lucchetta, con Anna Bisciari, Marco Fanizzi, Vincenzo Grassi.

La rappresentazione è un viaggio immersivo nelle difficoltà della vita universitaria, uno spaccato sul peso delle aspettative che gravano sulle spalle dei giovani adulti. La scelta registica cade su insolite forme di linguaggio come canzoni, videochiamate e balletti Tiktok, figlie dell’era digitale, contrapposte alla profondità delle riflessioni che vengono proposte.

Infatti, quella che dovrebbe essere la prima scelta fatta esclusivamente per sé stessi e per il proprio futuro, può diventare un punto di non ritorno.

Questa società accetta il fallimento?

Soppressi dalle aspettative in primis dei genitori e dal confronto coi risultati degli atri, molti ragazzi si trovano impossibilitati a parlare, ma soprattutto non sono ascoltati. Non c’è spazio per l’errore, farebbe crollare quel castello di esagerate aspettative dove tutto va come dovrebbe. Non si può accettare di non dare un esame o di fallirlo o addirittura di non intraprendere una carriera universitaria.

Bisogna trovare lavoro, ma anche fare quello che ti piace, così l’apparente libertà di scelta nella vita, si trasforma in schiavismo verso le considerazioni altrui, le quali ricordano sempre che non si è mai abbastanza, che c’è qualcuno di più bravo.  

Ciò porta a una distorsione del reale, citando Lacan, dove si crea una spirale di bugie da cui spesso non si riesce ad uscire. Tristemente si ricordano storie di ragazzi che pur di non raccontare la verità organizzano finte feste di laurea a cui non si presentano, per poi essere ritrovati tra i binari delle stazioni.

Una pièce che oltre ad emozionare serve a far riflettere e sicuramente meriterebbe più visibilità, soprattutto in ambiti accademici.

 

Ascolta qui la Puntata.

Articolo di Gabriele Riccardi e Giuseppe Graziani