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Danilo Kis e la poesia

Ci sono autori che non hanno mai scritto poesia – o almeno mai pubblicato – per la loro intera vita. Altri che difficilmente hanno speso inchiostro per altro se non versi. Ma ci sono anche autori che hanno percorso la mezza via, ed è il caso di Danilo Kiš, per i quali la poesia è stato approdo sporadico, sicuramente non casuale, ma nemmeno – ipotizzo – premeditato

Dicevo, è il caso di Danilo Kiš, scrittore serbo nato nel 1935, portato in Italia da Feltrinelli nel 1980 e poi ripubblicato da varie case editrici, fra le quali Adelphi, Wojtek e FinisTerrae. Resta che Kiš, a oggi, sia maggiormente conosciuto per libri come Giardino, cenere o Enciclopedia dei morti, prosa dunque, ma si è dedicato anche alla scrittura di versi. 

Risultano trentacinque poesie alla conta di quelle scritte da Kiš in vita, specialmente negli anni dal 1953 al 1966. Poesie, poi pubblicate in volume da FinisTerrae Edizioni, in cui, volente o nolente, si ritrovano alcune modalità tipiche della scrittura di Kiš. In particolare, chi scrive ha intravisto una certa anima comica: per esempio, in una delle ultimissime poesie, Alla notizia della morte della signora M. T., l’autore si congratula con la Morte per il “lavoro ben fatto”. Poesie che però sanno essere di una profonda sincerità; poesie, intendo, che sembrano essere scaturite da un impulso di sincerità dell’autore, come in questi versi: 

Preso d’amore, come gli altri, tutto 

il mio unico, incommensurabile Io, 

ma per strada mi sorprenderà il lutto 

che un giorno tutti porterà all’oblio.

Non mi dilungherò in analisi critiche dell’opera kiš-siana: non ne sono in grado, e questo non ha alcuna intenzione di essere un articolo di approfondimento, ma un invito alla lettura, alla scoperta di un autore già di per sé conosciuto, ma che, forse proprio vittima della notorietà di alcune sue opere, vede altre opere immeritatamente obliate.

Articolo di Fabrizio Pelli


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